Il rito del sacrificio umano "MoIk" come offerta sacra è tipico di una mentalità sociale che non ha riscontro in quella greco-romana.
Se per i Fenici, da segni certi, appariva inevitabile che una divinità avesse in mira l'eccidio di una città o dello Stato, non si doveva indugiare ad offrirle vite umane, scaricando così tutto il suo furore, la maledizione e l'ira sul capo di pochi e tenendola lontana dalla comunità.
Con l'idea che nessun altro sacrificio più di questo rallegrasse e calmasse quella divinità, i Cartaginesi si votarono ai sacrifici umani, e per accrescere il valore del sacrificio, non risparmiarono anche ciò che di più caro e prezioso che possedevano: la vita dei propri figli.
Di conseguenza, nei momenti di necessità, per scongiurare un grave pericolo si ricorreva all'offerta di "primizie" (tra le quali sarebbero stati compresi i figli primogeniti) al dio Baal che assicurava la prosperità ed esaudiva i desideri, e alla dea Tanit che proteggeva la città e garantiva la sua eternità.
Il sacrificio, ai loro dèi, non solo di animali ma anche di vittime umane e soprattutto di bambini, portava alla divinizzazione dei fanciulli sacrificati.
Si stabiliva, in tal modo, un canale diretto di "comunicazione" con le autorità celesti.
In generale valeva per il terribile rituale il principio del "Molchomor", la sostituzione dei fanciulli con una bestia viva: ma non sempre.
Ogni tanto, in cambio della benevolenza, gli dèi esigevano carne e sangue umano.
Largamente diffusi erano, comunque, i sacrifici di agnelli, uccelli, pecore.
Il medesimo sacrificio "Molk" (dono, offerta) prevedeva casi di sostituzione con vittime animali.
Il quadro della terribile cerimonia del sacrificio umano era reso più tetro dal fatto che, ai parenti delle vittime. era severamente vietato esternare il proprio dolore dinanzi all'altare.
Lacrime e gemiti avrebbero infatti sminuito il valore del rito.
Diodoro Siculo, lo storico di Agira, ricorda il sacrificio di 200 bambini presi dalle più illustri famiglie di Cartagine.
Si era proceduto alla sostituzione dei fanciulli delle migliori famiglie con bambini comprati o adottati da famiglie miserabili; e da qui, per redimersi dell'orrore compiuto, il governo di Cartagine decretò il sacrificio di 200 bambini appartenenti tutti alle famiglie nobili.
Silvio Italico, nel libro IV della sua epopea uferisce, con ricchezza di particolari il caso del figlio di Annibale.
Il governo di Cartagine decise di sacrificarlo.
La moglie del condottiero, Imilce, spagnola, si oppose all'atroce decisione e ottenne dal Consiglio una sospensione del sacrificio per informare il marito; Annibale rifiuto' di immolare il figlio e, al suo posto, giurò di sacrificare migliaia di nemici.
G. H. Hertzberga precisa il rituale del sacrificio.
Dal numero rilevante di bambini ad esso destinati al sacrificio, veniva scelta a sorte la vittima che, di norma, veniva segretamente cambiata con quella di altra gente.
Il bambino, posto sulle braccia di un idolo cavo di bronzo, rotolava all' interno dove ardeva un fuoco.
Gustave Flaubert, nel suo romanzo storico "Salambò" così scrive : "i fanciulli salivano lentamente le scale.
Nessuno di essi si muoveva, perchè erano legati ai polsi e alle caviglie e il velo nero che li avvolgeva impediva loro di vedere e alla folla di riconoscerli''.
James B. Frévier narra : "E' notte! Alcuni suonatori di flauto e tamburo fanno un frastuono assordante. Il padre e la madre sono presenti. Consegnano il figlio al sacerdote che cammina lungo la fossa del sacrificio, sgozza il bambino in modo misterioso, poi depone la piccola vittima sulle mani protese della statua divina dalla quale essa rotola sul rogo".
Sabatino Moscati, il noto semitista, avanza la teoria che il sacrificio dei bambini sia una pura fantasia; e sostiene che il "tophet" (area sacra) sia il luogo sacro di sepoltura di bambini nati morti o deceduti subito dopo la nascita, bruciati e quindi sepolti in urne.
La questione del sacrificio rimane aperta comunque, anche se il ritrovamento nei "tophet" di resti di piccoli animali (associati o meno a vittime infantili) fa ritenere credibile il terribile rituale della religione cartaginese.
Per ultimo, un disegno riprodotto sulla "stele obelisco" (un uomo che indossa una veste trasparente e che porta un bambino in braccio), viene raffigurato come una scena di "sacerdote col fanciullo".
A Selinunte sono state messe in luce tre aree sacre.
La più considerevole è costituita da un complesso formato da dodici ambienti collegati tra loro (due dei quali costituivano la parte centrale), nei quali sono stati trovati sei e tredici vasi, spesso anfore, che contenevano ossa di animali, miste a materiale combusto.
Le anfore sono del tipo a "siluro", tipicamente puniche; altre sono a corpo globulare con orlo a cordone.