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L'industria della porpora

Il vanto dell'industria cartaginese rimane, tuttavia, l'industria della porpora, attività rivolta alla tintura indelebile delle stoffe di lino o di lana.
La ricchezza dell'abbigliamento dei Punici doveva essere tale da vincere ogni immaginazione.
La veste di porpora del sibarita Alcistene (dalle cui mani usci' un lavoro di tale squisita bellezza, da meritare di essere ricordato fra le cose meravigliose), era una veste di porpora variamente istoriata e tutta folgorante di pietre preziose.

L'artefice vi aveva dipinto diverse specie di animali che sembravano vivi.
Nella parte superiore era rappresentata la città di Susa e, nell'inferiore, la Persia.
Il peplo era esposto nel tempio di Giunone Lacinia, alla cui festa accorreva, ogni anno, una moltitudine di gente.
La modalità di lavorazione della porpora era la seguente: si raccoglievano i molluschi del genere "trunculus" e "murx brandaris", dai quali si estraeva la carne del mantello della conchiglia (che racchiude un corpo granuloso di forma bislunga).

Subito dopo, il prodotto veniva spremuto e la poltiglia ottenuta, mescolata col sa1e o semplicemente con acqua marina, veniva lasciata stare al Sole per tre giorni perchè se ne separasse il succo.

Dopo, il succo ottenuto veniva messo a bollire in acqua per 10 giorni in vasi di piombo, sopra un fuoco lento e chiarificato con il mescolo, schiumandolo sino a quando il liquido si fosse ridotto alla metà di quello iniziale.

Infine, si immergevano i panni di lino o di lana che, dopo estratti. si esponevano alla luce intensa del sole.
Solo allora si sviluppavano i colori che, essendo stati prodotti dalla luce, non svanivano mai.
Il costo della tintura di porpora era elevatissimo: cosa ben comprensibile se si pensa che occorrevano circa 12.000 conchiglie per estrarre appena un paio di grammi di colore.

L'alto prezzo, la bellezza del colore con gli attributi magici del rosso (per cui chi di esso si copriva si riteneva investito di poteri quasi soprannaturali) spiegano perchè, nell'antichità, i sovrani, i sacerdoti ed, in genere. tutti i dignitari di ogni Stato, trovassero nelle vesti purpuree uno "status symbol" della loro potenza.