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La Lex sacra di Selinunte del V sec. a.C.


 


 

colonna B

colonna A

Ci sono due proposte interpretative della lex sacra:

Una  dovuta a Giuseppe Nenci che considera la lex il prodotto di una sanguinosa stasis, le cui misure miravano a porre fine allo stato di contaminazione che seguiva un omicidio;

E una più recente proposta alternativa, dovuta a Noel Robertson, che invece ritiene che il documento vada riletto nel quadro di una "religione agraria" ("agrarian religion"), i cui rituali seguivano l'alternarsi delle stagioni.

L'iscrizione è incisa su una lamina plumbea suddivisa in due colonne di testo, ribaltate l'una rispetto all'altra e separate da una barra di bronzo, forata in tre punti, che corre perpendicolarmente ai testi. Robertson ritiene insostenibile l'ipotesi di Giuseppe Nenci, secondo cui la lamina sarebbe stata ripiegata e fissata su una kyrbis, supporto ligneo girevole che ne consentiva la consultazione dallo stesso punto di osservazione. Robertson ritiene che il documento fosse affisso, ad altezza d'uomo, su una superficie verticale, nei pressi di un altare di Zeus, localizzato sull'acropoli o più verosimilmente nell' agorà, ma solo la colonna posta a destra era leggibile. I rituali descritti seguivano infatti una precisa sequenza cronologica in base alla quale le norme della colonna A trovavano applicazione nel periodo compreso tra il solstizio d'inverno e il solstizio d'estate. Al termine di questo intervallo, la lamina veniva ruotata e riappesa, consentendo la lettura della colonna B nei mesi dal solstizio d'estate a quello di inverno, lasciando così sulla sinistra la visione rovesciata della colonna A. L'opportunità dei tempi di celebrazione dei rituali sarebbe stata così resa visibile nelle modalità di esposizione del documento, cui Robertson attribuisce una funzione magica. Per quanto suggestiva questa ipotesi, tuttavia, sembra non concordare pienamente con le prescrizioni della colonna B in cui si dice che i rituali di purificazione possono essere celebrati in qualsiasi momento. Robertson supera tale difficoltà, leggendo nel testo un'esortazione ad applicare la norma nella seconda parte dell'anno.

Le prime righe dell'iscrizione, con una proposta di restituzione della lacuna iniziale, sono, secondo Robertson, la premessa alla serie di sacrifici da svolgere tra l'inizio della primavera e l'inizio dell'estate, ovvero in quel momento di ansia prolungata che precede il raccolto. Robertson attribuisce alla parola homosepuoi il significato di "coloro che condividono la stessa madia", che Robertson riconduce alla vita dei campi e alla religione agraria. Nella colonna A vengono indicati i  termini cronologici dei rituali che dovevano svolgersi prima dei Kotytia e -- negli anni olimpici -- prima della tregua per i giochi panellenici. Le prime, di cui si inseguono le tracce in Grecia e in Sicilia, erano feste annuali a carattere locale, che coincidevano con i Kronia, celebrazioni che, secondo i dati archeologici esaminati, segnavano a Olimpia, intorno alla data del solstizio d'estate, l'inizio della tregua. Robertson enuclea quattro tipologie di sacrificio. Il primo era destinato congiuntamente a Zeus Eumenes e alle Eumenidi. Queste ultime, indicate nelle fonti letterarie come alter ego mitico delle Erinni, sarebbero invece, a Selinunte, divinità agrarie il cui culto, originario del Peloponneso, si è poi diffuso in Occidente. L'associazione di Zeus al culto delle Eumenidi si spiega, secondo Robertson, ipotizzando che esse fossero percepite come sue figlie, come lo sono anche altri gruppi femminili. Tale culto, assimilabile a quello ateniese delle Semnai Theai, cui è dedicato il capitolo 7, è rintracciabile in Sicilia, anche a Entella. Robertson ne ravvisa le tracce persino a Gela in un riferimento di Erodoto (VII 153,2-154,1) alle dee ctonie di cui Teline, antenato di Gelone e Ierone, aveva acquisito il titolo di ierofante. L'ipotesi deve però fare i conti con una lunga tradizione di studi che riconosce nella notizia erodotea Demetra e Core, il cui rapporto con i Dinomenidi è peraltro variamente confermato dalle fonti.3

Il secondo sacrificio è offerto a Zeus Milichios en Mysko, come precisa il testo. La formula, che si ripete qualche rigo dopo con il nome Euthydamos, è stata genericamente intesa dai primi editori della lex come un riferimento a personaggi rappresentativi della storia selinuntina, antenati di due gruppi gentilizi, cui facevano capo due santuari di Zeus Milichios. Diversa è l'opinione di Robertson, secondo cui Myskos richiamerebbe, stando alla testimonianza dei lessici, uno stato di impurità e contaminazione, che costituisce una minaccia alla riuscita del raccolto; mentre Euthydamos starebbe ad indicare ogni "membro ordinario del demos" che, dopo la mietitura, rivolge il suo ringraziamento al Milichios. Inoltre, un confronto con i Diasia ateniesi, in onore di Zeus Meilichios, lo induce a ritenere che l'allusione sia piuttosto a due distretti della città che possono essere localizzati l'uno nei pressi del fiume Cottone (p. 152) e l'altro, dalla parte opposta della città, sulla collina della Gaggera, accanto al santuario di Demetra Malophoros. La descrizione rapida e cursoria di questi primi sacrifici indicati nella lamina suggerisce un loro possibile inserimento nel quadro di feste celebrate a inizio primavera -- prima del raccolto quindi -- i cui rituali erano predeterminati e noti a tutti. Al contrario, i dettagli specificati nelle altre due procedure sacrificali destinate ai Tritopatreis, menzionati nell'iscrizione prima come "impuri" e poi come "puri", e a Zeus Milichios en Euthydamo lascerebbero pensare piuttosto a pratiche private che dovevano essere stabilite con precisione.

Ai sacrifici in onore dei Tritopatreis -- gli ultimi prima della mietitura -- è dedicato il capitolo 10 che si sofferma sulla procedura descritta e sul significato da attribuire alla norma relativa alla "nona parte" che Robertson identifica con le cosce dell'animale sacrificale, porzione tradizionalmente destinata agli dei.

I Tritopatreis, considerati dai primi editori della lex come entità ancestrali protettrici della famiglia, sono da Robertson riconosciuti come potenze dei venti, sulla base delle testimonianze degli Attidografi e di alcuni riferimenti tratti dalla letteratura orfica.

All'ultimo sacrificio della colonna A destinato al Milichios del "distretto" di Euthydamos, Robertson attribuisce il carattere di un'iniziativa privata, legata alla riuscita individuale del raccolto, all'inizio dell'estate.

I rituali di purificazione descritti nella colonna B. L'entità chiamata elasteros, considerata dalla maggior parte degli studiosi sovrapponibile all' alastor, demone vendicativo che perseguita chi è colpevole di omicidio. Robertson invece separa i due termini e attribuisce all' elasteros il carattere di una sorta di nume del fulmine imparentato con Zeus, una spaventosa forza della natura, concepita come estremamente contaminante. La sua etimologia -- separata da quella di alastor -- è ricondotta al verbo elauno ("colpire") e la forma elasteros, attestata come epiteto di Zeus in diverse iscrizioni a Paro è ritenuta antecedente a quella di alasteros documentata a Taso. Discostandosi dalla lettura tradizionale, egli ritiene quindi che la lex selinuntina ben poco avrebbe a che fare con la purificazione da un omicidio.  Anzi la sua lettura sarebbe stata condizionata dall'interpretazione del termine houtorektas (forse una forma meno comune di autorrektas) tradotto, come l' autophonos della lex di Cirene, con "omicida". In entrambi i sostantivi, Robertson scorge invece il riferimento a procedure sacrificali, che consistevano nel macellare la vittima con le proprie mani. È vero che il termine indica genericamente "il fare qualcosa da sé" e rinvia talora ad ambiti sacrificali, ma queste precisazioni non sembrano tuttavia sufficienti a escludere l'ipotesi che il documento faccia riferimento a un omicidio, tanto più che proprio il culto di Zeus Meilichios è ripetutamente messo in relazione con fatti di sangue, privati e pubblici.