A riscoprire l'antica Selinunte, ormai sepolta dalla sabbia e dalla
macchia mediterranea, fu il frate domenicano Tommaso Fazello di Sciacca
che nel 1551, a dorso di mulo, percorse tutta l'isola alla ricerca delle
vestigia delle antiche città da illustrare nella sua opera "De Rebus
Siculis" edita a Palermo nel 1558. Al tempo di Fazello il luogo aveva
perso il nome di Selinunte da più di mille anni e veniva chiamato "Terra
di Pulichi" che potrebbe significare Terra delle pulci, per le pulci che
infestavano la zona, o più fantasiosamente Terra di Polluce con
allusione ai Dioscuri che in epoca latina venivano chiamati Castore e
Polluce. Il luogo fin dal medio evo veniva utilizzato come cava di
materiali da costruzione; nel 1756 alcuni blocchi dei templi orientali
furono utilizzati per ristrutturare il fatiscente ponte sul fiume
Belice. Nel 1779 Re Ferdinando Il di Borbone, con un decreto vietò il
prelievo delle pietre della città antica, ciò nonostante le spoliazioni
continuarono. |
Jean Houel: Ruines d'un temple de Sélinonte
Già dalla seconda metà del secolo XVIII le rovine di Selinunte cominciarono ad essere visitate da viaggiatori francesi, primi fra tutti: D'Orville, Saint-Non e Houel che descrissero ed illustrarono i templi portandoli a conoscenza di un vasto pubblico di studiosi.
Jean Houel: Ruines du grand temple de Sélinonte
A divulgare ulteriormente la fama di Selinunte fu il paesaggista tedesco Philipp Hackert che pose sul frontespizio della sua opera "Vues de la Sicilie" una veduta delle rovine.
Tra gli anni 1822 1823 due architetti inglesi William Harris e Samuel Angell iniziarono, per interessamento del console inglese a Palermo Fargan, i primi scavi tra le rovine autorizzati dal Governo Borbone. Le loro ricerche portarono alla scoperta delle tre metope del tempio C. Gli scopritori avrebbero voluto trasferire le metope al British Museum di Londra, ma ciò fu tassativamente vietato dal colto mondo siciliano di quell'epoca che volle le sculture al Regio Museo di Palermo.
Nel 1824 il tedesco Hittorf portò in luce il tempietto B evidenziando la policromia negli edifici classici; Hittorf con il suo discepolo Zanth e l'archeologo Stier misurarono e disegnarono tutte le architetture selinuntine.
Nel 1831 Domenico Lo Faso Pietrasanta Duca di Serradifalco, a capo della neonata Commissione per le Antichità e Belle Arti, autorizzava l'architetto Francesco Saverio Cavallari e lo scultore Valerio Villareale a liberare dalla sabbia tutti i templi dorici.
Nel 1864 venne istituita dal Governo Italiano una Direzione delle Antichità; Cavallari, nominato presidente, promosse nuove ricerche che portarono alla scoperta della necropoli di Manicalunga e di due strade sull'acropoli.Nello stesso periodo due studiosi tedeschi R. Koldewey e 0. Puchstein realizzarono i rilievi ed i grafici di tutti i templi; studio ancora oggi valido per la conoscenza architettonica dei templi selinuntini.
Nel 1885 un altro intrepido viaggiatore francese Guy De Maupassant visitò Selinunte definendo le rovine "Le più vaste che esistano in Europa".
Anche il poeta e viaggiatore inglese H. Swinbume visitando le vestigia scrisse: il fiume attraversa una lunga fila di colline che mettono in mostra la più straordinaria raccolta di rovine d'Europa, i resti di Selinunte".
Alla fine dell'ottocento l'archeologo Antonio Salinas e l'architetto Giuseppe Patricolo continuarono il lavoro dei loro predecessori; durante l'opera di sterramento delle mura dell'acropoli vennero in luce quattro metope arcaiche.
Nel 1910 l'architetto francese Jean Louis Hulot pubblicava a Parigi un saggio nel quale attraverso lo studio delle rovine, ricostruiva graficamente la città di Selinunte ed i suoi edifici religiosi e civili.
Si deve ad Ettore Gabrici, nel 1915, la ripresa degli scavi della città e dei santuari. Gli scavi vennero in particolar modo rivolti al santuario della Malophoros, già iniziati dal Salinas, compilando uno studio in quattro volumi pubblicato in "Monumenti Antichi dei Lincei" ancora oggi fonte indispensabile per la conoscenza delle architetture selinuntine.
A Jole Bovio Marconi, che operò a Selinunte negli anni cinquanta, si deve la scoperta del tempio M, lo sterramento della rete viaria dell'acropoli e la tanto criticata anastilosi del tempio E.
Merito di Vincenzo Tusa, la cui opera a Selinunte inizia a principio degli anni sessanta, è quello di avere scavato le necropoli con il contributo finanziario del Banco di Sicilia arginando l'attività degli scavatori clandestini. Allo stesso Tusa si deve l'individuazione e lo studio di un quartiere e di un'area sacra punica e gli inizi degli scavi sulla collina di Manuzza sede della città arcaico-classica. inoltre è merito dello studioso la creazione del parco archeologico esteso 270 ettari mirato alla conservazione dell'intera area archeologico, e l'aver chiamato a Selinunte i più noti studiosi di archeologia come Roland Martin dell'Università di Parigi, Dieter Mertens vice direttore dell'Istituto Germanico di Roma, Giorgio Gullini dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Torino ed ancora Juliette de La Genière, Dinu Theodorescu ed altri studiosi. Tutti dediti alla realizzazione di un programma scientifico ancora in corso, grazie alla nuova Soprintendenza di Trapani egregiamente guidata da Rosalia Camerata Scovazzo, che ha lo scopo, attraverso sondaggi stratigrafici, di effettuare un rilevamento totale del sito: utile per conoscere la cronologia storico-archeologica della città