La città di Megara Iblea non ebbe vita facile. Essa abbracciava uno stretto lembo di territorio, confinante ad ovest con le popolazioni sicule, con le quali Megara mantenne buoni rapporti, ma minacciato a nord e a sud rispettivamente dalle colonie calcidesi e da Siracusa, con le quali invece furono frequenti i contrasti e gli scontri anche militari.
Era naturale, quindi, che i Megaresi cercassero uno sbocco a questa stringente situazione e
pensassero a fondare una nuova colonia. Non riuscendo a trovare terre da colonizzare nella parte sud-orientale della Sicilia, dominata da Siracusa, si diressero verso la parte occidentale dell'isola dove, presso la foce del Modione (l'antico Selinos), lungo la costa meridionale fondarono una colonia che chiamarono Selinunte. L'insediamento venne creato in un'area occupata da genti sicane ed elime. E' evidente che il nome dato alla città ricalca il nome del fiume presso cui essa sorse; ma sia l'uno che l'altro probabilmente derivano dal termine greco selinon, che indica l'apio, una pianticella erbacea, che cresceva spontanea nella vallata del Modione e che divenne anche un emblema della città, come attestano molte monete rinvenute, che riproducono su una faccia foglie di apio.
Una data incerta
La spedizione dei coloni megaresi era guidata dall'ecista Pammilo, che veniva, con un contingente di coloni, da Megara Nisea, la madrepatria greca. Pammilo si diresse a Megara Iblea e qui, raccolto un altro contingente di
Megaresi sicelioti, si formò una grossa comitiva di coloni che, salpata alla volta della nuova terra da colonizzare, vi approdò nell'anno 628-627 a.C. Questa data, che si ricava dal racconto dello storico greco Tucidide (il quale dice testualmente che i Megaresi avendo mandato Pammilo fondano Selinunte 100 anni dopo aver fondato Megara, e pone la fondazione di Megara nel 728 a.C.), contrasta, almeno apparentemente, con un'altra data, tramandataci da Diodoro Siculo, secondo il quale Selinunte fu fondata nel 650 a.C. (Diodoro dice testualmente che Selinunte fu presa e distrutta nel 408 a.C., 242 anni dopo la sua fondazione). Oggi si tende a rivalutare, anche sulla base di alcuni rinvenimenti archeologici, la datazione alta di Diodoro; va notato, comunque, che la differenza fra le due datazioni è piuttosto esigua, poco più di un ventennio, e non si può peraltro escludere che entrambe le date siano vere, riferendosi a due momenti diversi della colonizzazione di Selinunte. La data del 650 potrebbe riferirsi ai primi contatti dei Megaresi col territorio selinuntino e alla fondazione di un primo emporio commerciale; la data del 628 alla più consistente immigrazione dei coloni megaresi e alla fondazione della città. D'altra parte è risaputo che la colonizzazione di Selinunte non fu conclusa in un solo anno o in un periodo di tempo ristretto, ma che immigrazioni successive di coloni megaresi sicelioti si ebbero sia negli ultimi decenni del VII sia per tutto il VI secolo, fino agli inizi del V.
Le origini megaresi
L'origine megarese di Selinunte, oltre che dalle fonti storiografiche antiche, ci viene confermata anche dai culti selinuntini e dalla lingua greca, ricca di inflessioni dialettali megaresi, che si legge nelle epigrafi trovate. Ben presto, però, altri elementi etnici, e quindi anche culturali, si inserirono nel tessuto megarese della colonia: erano alcuni rodii, che avevano forse partecipato nel 580 al fallito tentativo di colonizzazione a Lilibeo di Pentatlo, o forse alla fondazione di Agrigento; altri erano dorici che, al tempo della spedizione di Dorieo in Sicilia nel 510, penetrarono a Selinunte al seguito dello spartano Eurileone, che divenne anche tiranno della città. E con i nuovi elementi etnici,
anche nuovi culti si diffusero a Selinunte, come quelli dorici di Phobos e soprattutto di Eracle, alle cui leggende si ispirarono anche gli artisti che scolpirono le metope dei templi selinuntini.La città, dunque, fondata intorno alla metà o nella seconda metà del VII secolo, e certamente ampliata nel VI secolo per assorbire la continua immigrazione, megarese e non, sorgeva su un pianoro elevato circa 30 metri sul
livello del mare e delimitato ad ovest dal Modione e ad est da un corso d'acqua di minore portata, il Cottone, alla cui foce era situato il porto della città. Il pianoro, che era di natura calcarea, finiva a strapiombo sul mare e sporgeva allora di più, formando una insenatura in corrispondenza della foce del Modione. Nella parte sud del pianoro, quella sporgente sul mare, fu costruita l'acropoli con la zona sacra; oltre le mura dell'acropoli, nella parte nord del pianoro, detto della Manuzza, sorse poco dopo il centro urbano, che si estendeva su una superficie di oltre 20 ettari e che poteva dare alloggio ad una popolazione di alcune decine di migliaia di abitanti. Ad est e ad ovest della città si trovavano due aree‚ sacre: ad est del Cottone, nella pianura di. Marinella, furono costruiti i più grandiosi templi di Selinunte; ad ovest del Modione sorsero vari santuari, di cui il più famoso e il più antico era quello consacrato alla Malophoros (Demetra). La campagna attorno a Selinunte, solcata dai due corsi d'acqua, era cosparsa di paludi che, con le loro putride esalazioni, costituivano un pericolo per l'igiene pubblica, tanto che nel V secolo i Selinuntini fecero venire da Agrigento il medico, fisico e filosofo Empedocle, che realizzò opportune opere di bonifica. Nonostante questa minaccia naturale, comunque, Selinunte conobbe nel VI e nel V secolo un notevole sviluppo demografico, urbanistico ed economico.
Due secoli di sviluppo
L'entroterra selinuntino, che ben presto i coloni occuparono, era costituito di fertili pianure, dove veniva praticata una rigogliosa agricoltura, con abbondante produzione di cereali, soprattutto grano, e di olio. Se l'agricoltura era prospera, non meno prospero era il commercio. Posta ai confini con la parte occidentale della Sicilia, controllata dai Cartaginesi, Selinunte ebbe rapporti commerciali non solo con le colonie greche ma anche, nei periodi di pace, con Mozia, con Segesta, con la stessa Cartagine. Qualche volta anzi, in momenti cruciali della storia dei Greci di Sicilia, Selinunte, come vedremo meglio più avanti, per tutelare i propri commerci, soprattutto col mondo punico,
preferì allearsi con Cartagine piuttosto ‚che con le città greche di Sicilia. La natura di colonia di popolamento a
carattere agricolo-commerciale, che Selinunte ebbe fin dalla sua fondazione, spinse i Selinuntini a conquistare nuovi territori, sia lungo la costa sia verso l'interno. E già nella seconda metà del VI secolo, infatti, il territorio selinuntino si estendeva, sul versante occidentale, fino al fiume Mazaro, che segnava il confine col territorio moziese, alla voce del quale Selinunte fondò un emporio commerciale con una fortezza per la sua difesa; verso l'interno, fino alle odierne località di Salemi, Partanna, Santa Ninfa, Poggioreale e Salaparuta, che segnavano il confine col territorio di Segesta; sul versante orientale, fino alle Terme Selinuntine (l'odierna Sciacca), che segnavano il confine col territorio agrigentino. In alcuni momenti, Selinunte riuscì anche a superare questi confini, come quando, intorno alla metà del VI secolo, fondò una subcolonia (come t e s t i m o n i a Erodoto) a Minoa, che prese in seguito il nome di Eraclea Minoa, sulle rive del Platani: ben presto, però, la città cadde in mano agli Agrigentini. In altri momenti, il tentativo di superare questi confini fu causa di contrasti, anche militari, con le vicine città, come vedremo fra poco.Assai poco sappiamo delle vicende politiche interne di Selinunte. Anche questa città, come la maggior parte delle colonie greche di Sicilia, ebbe un governo tirannico: nella seconda metà del VI secolo la città era governata dal tiranno Pitagora, e a questi seguì un altro tiranno, lo spartano Eurileone che, venuto in Sicilia al seguito della spedizione di Dorieo, come già in precedenza abbiamo visto, si impossessò di Selinunte. Ma che la tirannide sia, stata l'unica forma di governo non è affatto certo, anche perchè l'alleanza fatta nel V secolo fra Selinunte e Siracusa, dopo la cacciata da quest'ultima città del tiranno Trasibulo, lascia pensare che fosse al potere allora a Selinunte l'aristocrazia con un regime oligarchico, o comunque un partito antitirannico.
Amica dei Greci e dei Cartaginesi
Migliore conoscenza abbiamo, invece, delle vicende politiche esterne di Selinunte. Due possiamo dire che sono stati in genere i motivi dominanti, i fattori principali della politica estera di Selinunte: da un lato la sua stessa posizione geografica, all'estremo confine occidentale della Sicilia greca lungo la costa sud, che la predisponeva ad uno scontro quasi inevitabile con le città elimo-puniche, protette da Cartagine, della Sicilia occidentale, dall'altro, l'esigenza di salvaguardare e di tutelare i propri interessi commerciali e quindi, conseguentemente, di evitare inutili contrasti che potessero solo recare danni ai propri commerci. Erano due fattori che non sempre riuscivano a conciliarsi, che erano anzi a volte apertamente contrastanti, e perciò non sempre la politica di Selinunte, il suo inserirsi nelle vicende della storia antica della Sicilia, risultò lineare e coerente. Nel corso del VI secolo Selinunte appoggiò i tentativi dei due condottieri greci, Pentatlo prima e Dorieo poi, di fondare delle colonie nell'estremità occidentale della Sicilia, scacciandone i Punici e i loro alleati: evidentemente Selinunte aveva tutto da
guadagnare da un eventuale insediamento di colonie greche in quell'angolo della Sicilia, e avrebbe certamente potuto estendere i suoi confini; ma, come già sappiamo, le due imprese fallirono. Quando invece, all'inizio del V secolo, divampò la guerra fra Greci di Sicilia e Cartaginesi, guerra che si concluse con la battaglia di Imera nel 480, Selinunte, invece di allearsi con le altre città greche contro Cartagine, come poteva sembrare naturale, preferì allearsi con quest'ultima. In questa occasione prevalsero evidentemente le preoccupazioni di carattere economico, in quanto, come abbiamo visto, Selinunte aveva rapporti commerciali anche con località puniche e con la stessa
Cartagine: una entrata in guerra in alleanza con le città greche avrebbe compromesso certamente queste relazioni commerciali, mentre d'altra parte da questa guerra Selinunte non avrebbe potuto trarre significativi vantaggi.Il contrasto con Segesta
Oltre che tutelare i propri commerci, Selinunte cercava anche di intensificarli. Per questo obiettivo, mirava ad aprirsi uno sbocco sul Tirreno fondando un emporio commerciale sull'attuale golfo di Castellammare, che rientrava
però nel territorio di Segesta. Se il tentativo fosse riuscito, Selinunte, oltre ad avere un porto sul Tirreno avrebbe anche infranto l'unità territoriale del dominio cartaginese in Sicilia, separando Mozia ed Erice da Panormo e Solunto. Frequenti furono i contrasti fra Segesta e Selinunte per i ripetuti tentativi dei Selinuntini di invadere il tenitorio segestano, ma si risolsero in genere senza gravi conseguenze. Nel 413, però, un ennesimo tentativo di Selinunte di penetrare entro i confini di Segesta scatenò una guerra che non restò circoscritta alle due città belligeranti, ma coinvolse anche le grandi potenze del tempo. Segesta, infatti, chiese aiuto ad Atene, la quale fu lieta di intervenire per l'opportunità che le si offrì di trasferire in Sicilia la guerra che la opponeva allora a Sparta. Oltre che da Atene, Segesta fu soccorsa anche da Cartagine, tradizionale alleata delle città elimo- puniche, mentre Selinunte si rivolse per aiuto a Siracusa, nonchè‚ ad Agrigento e a Gela. In verità, prima di scatenare la guerra, il capo della spedizione cartaginese, Annibale, tentò di risolvere diplomaticamente con Siracusa il contrasto fra Segesta e Selinunte; ma quest'ultima non volle accettare l'arbitrato di Siracusa e le ostilità ebbero imminente inizio.
Lo scontro decisivo
Annibale nel 409 sbarcò con un poderoso esercito di fanti e di cavalieri sul promontorio di Lilibeo e da lì, congiuntosi con le milizie dei Segestani, mosse verso Selinunte. Con una rapida manovra, prese la fortezza selinuntina situata sulla foce del Mazaro a difesa del porto, quindi piombò sulla città attaccandola da due lati. I Selinuntini, intanto, potevano contare solo sulle proprie forze, in quanto i rinforzi siracusani tardavano ad arrivare, e con essi anche quelli gelesi ed agrigentini, che erano si pronti, ma aspettavano di congiungersi al contingente siracusano appena questo fosse passato da Gela e da Agrigento. Siracusa infatti, impegnata com'era nella difficile guerra contro Atene, mandò con molto ritardo i suoi soccorsi, che giunsero in pratica quando era
ormai troppo tardi. Abbandonati, perciò, a se stessi, i Selinuntini resistettero gagliardamente per nove giorni, sperando vanamente nell'arrivo dei soccorsi. Alla fine però, stremati nelle forze, dovettero cedere alla schiacciante superiorità numerica del nemico. I soldati di Annibale, penetrati nella città, la saccheggiarono e la devastarono, uccidendone in massa la popolazione: Diodoro racconta che circa 16.000 Selinuntini perirono nel grande massacro. Vennero risparmiati da Annibale soltanto le donne e i bambini che si erano rifugiati nei templi, mentre i pochi che riuscirono a sfuggire all'eccidio trovarono scampo nelle vicine città di Agrigento e Gela. Finiva così tragicamente la storia di una delle più celebri colonie greche d'Occidente, e per Selinunte si aprivano i secoli bui della decadenza e dell'asservimento politico. Dopo la distruzione del 409, Selinunte tornò ad essere abitata, ma non raggiunse più lo splendore urbanistico, né la prosperità economica, né lo sviluppo demografico dei secoli precedenti. Ancora per qualche decennio la città restò nell'orbita del mondo greco. Il siracusano Ermocrate, bandito dalla patria, si diresse nel 407 a Selinunte, dove raccolse gli abitanti sopravvissuti alla recente distruzione e da dove mosse per una serie di imprese contro le città elimo-puniche della Sicilia occidentale.
Il dominio punico
All'inizio del IV secolo, soldati selinuntini facevano parte della potente armata di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, che nel 397 attaccò e distrusse Mozia, base della potenza cartaginese nella Sicilia occidentale. Ma dopo il fallimento delle imprese di Dionisio nella Magna Grecia e del tentativo, nel 368, di espugnare Lilibeo e di cacciare così i Cartaginesi dalla Sicilia occidentale, un accordo di pace stipulato fra Siracusa e Cartagine, riconfermato poi da successivi trattati, stabili nel fiume Halykos (l'odiemo Platani) il confine tra la zona di influenza siracusana e la zona di influenza cartaginese. In base a questa spartizione, Selinunte, trovandosi nella zona cartaginese, venne sottomessa al dominio punico, diventando la base punica più orientale sulla costa meridionale della Sicilia. La città venne fortificata dai Cartaginesi e ricostruita, ma solo nell'area dove sorgeva prima l'acropoli. Le nuove costruzioni furono certamente adattate ai resti delle antiche, come testimoniano anche gli avanzi archeologici, che ci presentano un abitato misto punico e greco. Non venne più ricostruito, invece, il vasto centro urbano del pianoro di Manuzza, che rimase abbandonato e utilizzato come necropoli. Col dominio cartaginese, penetrarono a Selinunte ovviamente anche elementi culturali della civiltà fenicio-punica: si diffusero nuovi culti, nuove credenze religiose e nuovi costumi. Una testimonianza della diffusione del culto di Tanit, dea punica della fecondità, sono da considerare i cosiddetti segni di Tanit col caduceo, rinvenuti su pavimenti a mosaico di qualche abitazione punica; mentre in un'area sacra sono venute alla luce numerose stele funerarie, che attestano la pratica di riti sacrificali punici. Sembra anche che il recinto del santuario della Malophoros, anticamente dedicato a Zeus, sia stato consacrato nel IV o nel III secolo al culto di Tanit e di Baal Hammon.
Secoli di oblio
Il dominio cartaginese a Selinunte si protrasse, tranne la breve parentesi della spedizione di Pirro in Sicilia nel 276, durante la quale anche i Selinuntini si allearono col principe epirota, fino all'intervento dei Romani in Sicilia nel corso della prima guerra punica. Allora Selinunte sperò forse di potersi liberare dal giogo cartaginese con l'aiuto dei Romani. Ma Cartagine, per meglio difendersi dagli attacchi dei Romani, decise di concentrare le sue forze nella città di Lilibeo, dove fece trasferire nel 250 la popolazione di Selinunte, distruggendo nuovamente la città e abbandonandola alla rovina. Con quest'ultima vicenda possiamo considerare conclusa la storia di Selinunte. Nel Medioevo si perse anche il nome della città. Gli, Arabi la chiamarono Rahl-al-Asnam -Casale degli idoli o dei pilastri , forse in seguito alla costruzione da parte loro di un casale. Una parte dell'acropoli pare sia stata occupata al tempo della don£nazione aragonese in Sicilia. Col tennine "Terra di li Pulichi" (forse trasformazione di 'Teffa di Polluce"), la località viene citata in documenti notarili del XVI secolo nei quali pure si designa col nome di "Torre de li Pulichi", la torre quadrangolare di avvistamento cinquecentesca (sita alla fine della strada che porta all'acropoli). Nella seconda metà del XVI secolo, la città fu riscoperta dallo storico siciliano Tommaso Fazello.
Nel 1823 hanno avuto inizio gli scavi archeologia, che hanno portato alla luce numerosi avanzi della città, fortunatamente conservatisi attraverso i secoli. Gli scavi tutt'ora continuano con la collaborazione di studiosi italiani e stranieri e certamente potranno ancora restituirci altre importanti vestigia di quella che fu una delle più celebri città della Sicilia antica.